venerdì 23 settembre 2016

Percorsi




E' dai tempi delle elementari (la scuola! magnifico e perverso strumento di crescita e alienazione) che è entrato in me, inconsciamente, il germe della simbiosi assertiva, per opera di una splendida maestra, della quale non ricordo il nome, solo il cognome, graziosissima e paffutella, dai modi simpatici e aggraziati, una delle persone, dopo i miei genitori, che scelsi di prendere ad esempio di vita. 





 




Ha insinuato in me la malattia delle condivisioni, delle collaborazioni, delle compartecipazioni, dell'imparare senza dover necessariamente soffrire, senza sforzarsi troppo, sempre con la sua aria rassicurante, che trasmetteva calma, serenità e protezione.


Ah, la scuola del passato, del passato remoto, la ricordo con piacere, quando lo stato era meno invadente, nel voler a tutti i costi imporre le sue vedute di parte derivate da concezioni che non appartengono al dna della gente.

Allora regnava la naturalità dell'agire, ci piaceva quando, durante una splendida giornata primaverile, lei ci portava per le strade polverose di campagna, a sentire i profumi di infiorescenze delicate e gradevoli anche alla vista.

E mi piacevano, ancora, un po' più grandicello, le collaborazioni con mio cugino, che non c'è più, ma che esiste ancora da qualche parte, forse in un'altra dimensione, immersi in una natura che desiderava il nostro intervento, impegnati in lavori leggeri, consoni alla nostra giovane età.

E ricordo la preparazione agli esami di maturità, in sinergia con il mio grande amico e "goppai" Raffaele, immersi anche quelle volte nella naturale ruvidezza di una natura difficile, e scomoda, ma non ostile, incontaminata, che dava un senso di pace, che ci faceva capire che non esistono solo i fumi della saras, che le piante gigantesche nascondevano alla vista, immersi nella penombra delle piante secolari di punta maxia.

E ricordo le collaborazioni artistiche-scenografiche con Giampietro e Checco, impegnati nella realizzazione di enormi pannelli e murales, concatenati con la nostra appartenenza ai gruppi teatrali di teatro documento prima, e fueddu e gestu poi.
Un collaborare e sinergizzarci anche in quel difficile campo che allora sembrava più grande di noi, e dal quale ne siamo usciti egregiamente, con lavori che qualcuno ricorda ancora con piacere, che qualcuno reputa, ancora originali.

Ricordo la proficua collaborazione in ambito tecnico con il grande Gianni, ineguagliabile icona dei tecnici teatrali.

E, partito dalla Sardegna, ho trovato amici e colleghi con cui condividere competenze in ambito lavorativo, colleghi friulani, veneti, calabresi, pugliesi, sloveni, serbi e croati.
E infine l'esplosione incontrastabile della mia grande passione, che ha parzialmente offuscato le frequentazioni scacchistiche.

Passione che la mia antica maestrina, ma soprattutto la mia carissima zia Gianna, mi hanno inoculato, come un benefico virus che (forse) mi ha salvato da un disagio lavorativo, come una valvola di sfogo a problematiche sociali, la passione per la lettura e la scrittura. 
Grazie, zia Gianna, sei stata molto importante per me, anche se non lo sai.

Ho scoperto che quella passione doveva essere trasmessa, e allora mi è venuto spontaneo accettare l'offerta di collaborazione de ilsovranista, nella cui redazione ho trascorso momenti indimenticabili, le stesse sensazioni che mi trasmetteva l'appartenenza ad un prestigioso giornale come è stato, ed è, Linea QN, con le sue ferree regole deontologiche.

Grazie per avermi accettato, nonostante i miei pochi meriti e le eteree capacità comunicative.

L'esperienza aquisita dall'appartenenza alla redazione dei due quotidiani, insieme ad altri non meno importanti fattori, ha innescato lo straordinario dono che ho ricevuto il ventidue dicembre del duemiladieci,  che mi ha convinto che la mia vecchia vita era terminata, e ricominciava una nuova esistenza, da quel momento tutto quanto ricevuto in maniera assolutamente gratuita e quasi istantanea, era connaturato col dare, col trasmettere, col comunicare.

Non sempre quello che scrivo proviene dal mio intimo, a volte proviene da "altrove", o forse da un "quando" imprecisato, che non mi è dato di capire.

Senza voler essere particolarmente antipatico, o umile, qualità che non apprezzo in maniera spassionata, visto che non tutto proviene dai miei ragionamenti, mi viene da intuire abbastanza chiaramente, per tanti avvenimenti, il "cui prodest".

E poi, ultima, ma non ultima, la mia appartenenza al Movimento di Liberazione, mi ha reso la vita meno conforme, meno schematizzata; lo sapete, non rinuncio alle mie idee, le difendo con passione, anche se a volte in maniera maldestra, idee che per i più possono sembrare un po' strampalate.

Studiare problematiche educative in materie difficili e delicate come la formazione di giovani vite, lavoro proiettato nel futuro prossimo di una auto gestione del popolo sardo in materia scolastica e formativa. 
Grazie anche a voi, di avermi dato l'opportunità di esprimere cosa intendo per istruzione, parola che non accetto del tutto, preferisco parlare di auto istruzione, auto educazione e auto formazione.
In preparazione di giovani vite alla vita, anche spirituale, e non al lavoro.

Giovanissimi che dovranno affrontare una vita futura fatta di concretezze e di voli, di realizzazioni pratiche e mentali, in preparazione non al lavoro, ma alle produzioni, in preparazione alla comunicazione positiva e meritocratica con i propri simili e la natura.

So solo che il compito che mi avete affidato, lo ho indirizzato verso traguardi che dovrebbero poter estrinsecare la personalità di giovani vite, in maniera naturale, senza alcun tipo di condizionamento esterno, un po' sulla falsariga degli insegnamenti di Silvano Agosti, o se volete su concetti steineriani, o rodariani, ma sempre e comunque miei personali.
Concetti adattati però a quel particolarissimo popolo che ha già in se stesso codici d'onore che non vorremmo mai stravolgere, convinti come siamo che la naturalità dei comportamenti universalmente riconosciuti come validi, non possono essere sostituiti o inquinati da regole artefatte, codicilli, o norme, o leggi create ad uso e consumo del potere.

Noi non imporremo mai una cosa del genere, non ci interessa creare soldatini ubbidienti a uso e consumo dello stato, della sua grandezza economica, utili al decollo del pil economico, preferiamo di gran lunga l'affermazione del pil della felicità.
Noi amiamo il nostro passato, ricordiamo quello che siamo stati, perchè ne siamo orgogliosi, siamo orgogliosi della struttura sociale e meritocratica dell'antico popolo sardo, dell'Antica Civiltà Sarda, e del codice barbaricino che racchiude in se un indefinibile senso ancestrale, che solo noi sardi, e chi ama la nostra cultura ruvida e contadina, può capire ed apprezzare.

Noi amiamo quello che il sistema giudicale è stato e ha trasmesso, amiamo la liricità della nostra lingua, i colori e i profumi di sardegna.
Amiamo l'orgoglio di popolo, amiamo i nostri particolarsmi, le nostre specificità che, anche se questi sono tempi cadenzati da oscurantismi globalizzanti, non si estingueranno mai, e, se ne avremo la forza di divulgarli, diventeranno un esempio da seguire, sulla scia luminosa del Diritto Divino, e non solo nell'isola di sardegna.

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