venerdì 6 marzo 2015

millenonc'èvento

 Millenonc'èvento
 racconto e illustrazioni di mariano abis
Metà degli anni novanta
I mitici anni del mille non c'è vento.
Ma in sardegna il vento non manca mai.
Nemmeno a primavera inoltrata.
Il giorno prima avevamo deciso la direzione da prendere, mai è capitato, quando si andava in gita, di scegliere la località di arrivo, si sceglieva solo un punto cardinale, tutto il conseguenziale era dettato dal caso.
Al mio fianco, sulla indimenticata ford sierra familiare di terza mano, che qualcuno aveva pensato bene di dotare di un motore a reazione, dai consumi paragonabili ad uno shuttle interplanetario, sedeva, comoda e rilassata (evento che non capitava spesso) la mia ex moglie.
Dal comodo sedile di dietro, di alcantara memoria, provenivano rumori di guerra, e qualche urlo di dolore, erano i miei figli Angela e Francesco, dodici e sette anni,  ci saremmo
preoccupati se avessimo sentito silenzio, amiamo i bimbi vispi, anche se a volte creano problemi, le rumorose consuetudini erano destinate a diventare regola.
E in ogni caso mai avremmo voluto due figli dalla tranquillità esasperante.
Scegliemmo di dirigerci verso settentrione.
Angela impose la destinazione, alghero.
Parcheggiamo sul lungo mare, e ci incamminammo a visitare la cittadina catalana.

Francesco venne attirato da un cartellone affisso alla vetrina di un bar, dove si avvisava che quel giorno stesso si sarebbe disputato un ricco torneo di scacchi, si sganciò dalla comitiva familiare, e, quando tornò, ci impose il suo programma.
Avremmo partecipato al torneo, lui ed io, il problema era come convincere la mamma e la sorella a trascorrere il tempo diversamente dal preventivato, il pargoletto espose subito la soluzione risolutiva, avrebbero partecipato entrambe, visto che erano in palio ricchi premi destinati anche al gentil sesso.
Mia moglie rifiutò categoricamente, ma Angela, vedendo che una sola donna era iscritta, pensò bene di tentare di aggiudicarsi qualche premio, senza sforzo eccessivo.
Il problema era che lei non sapeva giocare a scacchi, conosceva solo le regole essenziali del gioco, apprese intuitivamente nel vedere me e Francesco disputare interminabili partite casalinghe.
Mezz'ora di lezione fu sufficiente per istruire Angela su tutti i trucchi che quel semplicissimo gioco comportava, oddio, non era proprio così, ma la piccola disponeva (e dispone ) di una mente velocissima e stratosferica.
Francesco le insegnò l'uso dell'orologio da torneo, era ormai pronta per affrontare la competizione.
Essendoci in palio ricchi premi per i ragazzi fino ai sedici anni, il pargoletto era quasi certo di poterseli aggiudicare, dato che lui era una delle migliori promesse dello scacchismo giovanile isolano.
Nutrivo qualche fievolistica ( e favolistica ) speranziella di ben figurare anche io, mi dovetti ricredere già dalla prima partita, quando inopinatamente ricevetti una sonora leione da un tizio, uno splilungone il cui viso non assomigliava nemmeno minimamente al prototipo dello scacchista, sembrava piuttosto un agente di riscossione delle tasse, che notoriamente hanno espressioni burbere e poco rassicuranti.

Contento della performance ottenuta contro di me, come si fa tra scacchisti, (scacchisti è una parola grossa ) , è voluto entrare in relazione extrascacchistica col sottoscritto, e quando scoprì che aveva di fronte un sorrense, mi fece l'elenco delle sue conoscenze del mio paese. 
Mi raccomandò di salutarli tutti, forse con la speranza che io comunicassi loro la sonora sconfitta subita da lui.
Ebbi la conferma di quell'intendimento, dato che alla fine delle partite successive, mi cercava per ripropormi l'invito a salutare per lui le sue conoscenze.
Angela perdeva sistematicamente ogni partita, ma riuscì a battere l'unica altra donna iscritta, quella che poteva insidiare la sua supremazia di genere.
Dopo aver perso  l'ennesima partita in breve tempo, mi avvicinai alla postazione che mi interessava seguire, giocavano mio figlio con lo spilungone, quest'ultimo era in leggero vantaggio, ma Francesco, con una geniale sequenza di mosse, e qualche sacrificio molto ben congegnato, lo stese al tappeto, senza possibilità di scampo.

Lo spilungone evitò, da quel momento, di venire in contatto con me, timoroso forse che io raccontassi alle sue conoscenze sorrensi la brutta figura subita da un bimbo di sette anni.
Quando arrivò il momento delle premiazioni, Angela ricevette una bella coppa come vincitrice del torneo femminile, con le sue due vittorie e un pareggio, accompagnata da una lussureggiante banconota da cinquanta mila lire, che a quei tempi potevano considerarsi soldi ( non come quelle banconote attuali brutte, male odoranti e in definitiva non valide perchè emesse da organismi non riconducibili dalla gente, ma questo è un altro discorso ), il suo viso era tutto un sorriso, mi ricordo ancora il raggio di luce che emanava, e poi quella banconota in mani di una dodicenne poteva considerarsi un piccolo, grande capitale.
Francesco vinse alla grande il torneo giovanile, con ampio distacco sul secondo, raggiante anche lui, con in mano la coppa e una banconota dello stesso valore di quella della sorella.
Rischò per un nonnulla persino di entrare a premi nella classifica generale, sarebbe stato, in quel caso, un risultato strepitoso.
Io mi accontentai di una stretta di mano degli organizatori, riservata ai giocatori senza infamia e senza lode.
Dello spilungone nessuna traccia, dal momento in cui è stato sconfitto dal pargoletto, si è letteralmente fantasmizzato alla mia vista.

Entrambe le banconote, quel giorno, sono state cambiate e barattate con caramelle, gelati e cioccolatini, per la prima volta nella loro vita, i pargoletti riuscirono persino a offrire ai loro genitori un fumante e gustosissimo caffè catalano.
Il viaggio di ritorno fu trapuntato dalla canzoncina classica " noi siamo i campioni, abbiam vinto la battaglia, campioni natzionali ci possiamo dir ".

Nessun commento:

Posta un commento